venerdì 10 maggio 2024

UNA DOMENICA IN MUSICA

 -Era proprio il caso di portare la nonna?

-Perchè? era così contenta!

-Contenta? Ma se non si muove mai di casa, sempre a guardare vecchi film!

-Meglio, si distrae. E poi era come se avesse una specie di appuntamento, qualcosa d’importante da fare.

-Vaneggiava, insomma.

-No, guarda com’è carina, con i pantaloni a zampa e la camicetta a fiori.

-Si è sdraiata sul prato! Si alzerà tutta  acciaccata e ci toccherà rimetterla in sesto!

-Cosa dovrà fare?

-Aspetta la musica.

- Musica?

-Ha detto che aspetta la musica da cinquant’anni, anzi cinquantacinque.

-Vorrà sentire quel gruppetto di ragazzini che strimpellano con le chitarre! Eccoli!

...

-Nonna è tardi andiamo, sta facendo buio!

-Ve ne volete andare sul più bello? Non è ancora arrivato!

-Arrivato? Ma chi?

-Lui, Jimi, aspetto quando farà vibrare alle stelle le corde della chitarra con l’inno americano! Se no che ci siamo venuti a fare a Woodstock?

© Silvana Maroni



FOTOGRAFIE

 Attimi cristallizzati,

 intrappolati nell'ambra

come insetti del paleozoico.

Attimi passati, frullati nel tempo

ritornano a rinverdire memorie liete.

Eppure,

Ogni ricordo ne richiama altri, in una catena 

infinita di anelli compenetrati,

inscindibili.

Le persone sono figure sbiadite

sulla carta lucida

seppia, bianco e nero, affastellate nella memoria 

che confonde tempo, spazio, luoghi.

Non tutti  i ricordi sono lieti,

vita e morte ballano abbracciate,

perchè va così, nel fluire degli anni.

Nel fiume del tempo cosmico

Prossimo all'eternitá,

ci affacciamo solo un attimo

in questa vita

e lasciamo impronte leggere

sulla sabbia, che il mare cancella.

Solo alcune

sedimentano nella memoria e

s'imprimono

come calchi di fossili

nelle rocce.


© Silvana Maroni




mercoledì 8 maggio 2024

TERRASANTA

Gemiti sordi

Di un sole in agonia

che non scalda più tale è il freddo nel cuore,

Dove lo spazio non traduce pensieri

Dove i muri gemono, invocando la pace

Dove le vite umane

valgono meno di un soldo bucato,

Dove tutto è muto

Anche il dolore

Più della rabbia.

S.M.



martedì 7 maggio 2024

RISVEGLIO

 Katherine  non era del tutto sveglia, il suo corpo non rispondeva ai comandi del cervello che aveva ripreso, invece, a funzionare. Era rigida e sentiva letteralmente un fluido vitale scorrere giù per le vene, appena tiepido ma corroborante. Sapeva che per un po’ di tempo non sarebbe stata del tutto cosciente, così le avevano spiegato. La sfiorò il pensiero di un guasto improvviso all’astronave ma non volle pensarci, si sarebbe agitata. Come aveva appreso durante il lungo addestramento, fece degli esercizi di rilassamento ripercorrendo con la memoria le tappe della sua vita, fino a quella incredibile missione nello spazio.

   Con diligenza, da brava e scrupolosa scolaretta, iniziò lentamente a ricordare i trascorsi che l'avevano portata a credere nell’impresa di un gruppo di sognatori disperati, proprio come lei. Si rivide bambina in un centro d'accoglienza governativo, probabilmente ceduta da genitori poveri, imbarazzanti o corruttibili. O forse sognatori e disperati, anche loro, come aveva sempre preferito pensare.

   Eppure qualche flebile ricordo era rimasto nelle pieghe della sua corteccia: l’immagine di una donna bella e sorridente, dagli occhi scuri e i seni importanti. Una piccola casa lungo un fiume, uomini in divisa che sfilavano, armati fino ai denti. Era un puzzle incompiuto, a cui i suoi neuroni aggiungevano gradualmente elementi. In quel momento si accorse di averne di nuovi. Sorprendentemente, dopo quel lunghissimo riposo forzato altre memorie si erano stratificate nella sua mente. Ricordò per la prima volta lunghe mani ingioiellate, una montagna di banconote chiuse in una valigia nascosta sotto un vecchio letto in una casa di campagna. E ricordò il colore degli alberi, delle cascate, dei prati fioriti. Ma certamente non erano reali, Tutte queste cose non esistevano più da secoli sulla Terra e pensò che fossero il frutto della sua fervidissima immaginazione.

    Ebbe anche la sensazione di essere osservata, ma fu solo un attimo.

    La campagna era in realtà la periferia degradata di una metropoli tentacolare nei cui meandri accadeva di tutto, compresa la compravendita di esseri umani.

    Da bambina scriveva storie, su quaderni raccattati in un vecchio magazzino, con matite colorate  che temperava con un coltellino in dotazione al suo equipaggiamento. Storie fantastiche, vagheggiate, perse nella memoria e fuse con i sogni. In una di queste storie aveva una mamma e un papà e vivevano in una caverna nascosti dal mondo: era una vita avventurosa immersa in una natura viva e violenta, certamente anch’essa immaginaria. Le città infatti, erano sovrastate da cupole e agonizzavano, destinate ad una fine certa a causa della mancanza di  risorse: acqua potabile, cibo, combustibili e perfino l'ossigeno scarseggiavano.

   E poi all’esterno c'erano mille pericoli, orde di mutanti infestavano il mondo: erano esseri mostruosi che si cibavano di carne umana e devastavano ogni prodotto della civiltà; dotati di un’intelligenza superiore miravano alla conquista della Terra e soprattutto di altri mondi, visto che il pianeta dell’uomo era ormai ben poco vivibile. Diabolici e spietati, si temeva che si fossero infiltrati anche tra la popolazione delle cupole.

   Kathe sapeva che lo scopo della missione era la ricerca di  nuovi pianeti, veri eden dello spazio, future culle della specie umana. E loro erano gli eletti, i colonizzatori: scelti attraverso selezioni durissime, dal cervello ricondizionato e propenso solo al bene, da cui, come le era stato spiegato, erano state cancellate le orrende memorie che li riconducevano al loro mondo perduto.

   Sapeva che era una missione senza ritorno, affidata a qualche migliaio di umani addestrati sin dalla nascita. Tutti privi di affetti, di famiglia, di ricordi: le migliori pedine da giocare in quel viaggio senza ritorno, senza speranze, con pochissime prospettive di riuscita. Il sistema di comunicazioni con il pianeta di origine era affidato agli sviluppi di una teoria recentissima, sulla

“Persistenza della scia di luce attraverso il vuoto”, ben poco comprovata e abbastanza aleatoria. Ma era il presupposto teorico per la trasmissione e la ricezione dei dati: basata sul fatto che le onde elettromagnetiche creano un fronte che perturba lo spazio permettendo alle oscillazioni di giungere a destinazione prima della radiazione stessa, in buona parte funzionò.  

   Così l'equipaggio poteva comunicare i risultati della spedizione in tempi molto più brevi di quelli previsti dalla relatività, approfittando di scorciatoie cosmiche ben note e attraversabili anche dalla materia, quindi utili per il viaggio.

   Kathe, avvolta nella capsula protettiva, sentiva la pelle che si staccava a brandelli, una sorta di metamorfosi investiva il suo corpo: l'acqua scivolava via e con essa il bozzolo in cui era avvolta. Un involucro di fibre vegetali, una sorta di nido, costruito con tecniche raffinate, biotecnologiche.

Ricordava il mare, ma era un ricordo sfocato, sommesso, non era certa di averlo mai visto davvero.

Echi di voci indistinte, doloranti, fluivano veloci verso il percorso forzato di una memoria preconfezionata, ma che conteneva un pulviscolo sporco di verità. Le  sofferenze di una bambina alle prese con un mondo più grande di lei, dove la bugia e la verità si confondevano nel quotidiano, assolutamente indistinguibili.

  “Guarda negli occhi il mondo, dici sempre quello che pensi, rispetta le opinioni degli altri e combatti con tutte le tue forze chi non lo fa”.
  “Rispetta tutte le creature del pianeta, ama il pianeta, ama la natura per come è, senza regole anche se a volte appare crudele.” Una voce metallica ripeteva nella sua testa questi moniti.
“La natura non ha un piano prestabilito, solo gli uomini lo hanno; la natura vive di impulsi, sussulti, gemiti, ed  è lei la padrona. Come una madre ci ha accolti, ma può distruggerci con una spinta, con un soffio, con le sue lacrime confuse nella pioggia. Noi viviamo solo un attimo, nel tempo cosmico siamo meno di un battito di ciglia. Riempiamolo di vita questo piccolo momento che ci è toccato, e respiriamo questa vita fino in fondo, non lasciamo che ci scivoli addosso, presto rotolerà via comunque e le nostre tracce si dissolveranno nel vento di un nuovo autunno.”

  Erano parole scolpite nei neuroni del suo cervello, moniti, consigli, ma non riusciva ad associarli a nessuno, non umano almeno.

  Intanto la vista si schiariva, e sagome indistinte cominciavano a prendere corpo intorno a lei. Ectoplasmi che lentamente divenivano presenze reali, dai contorni definiti, di cui Kathe cominciava ad avvertire i respiri, i singhiozzi, le voci indistinte, gli odori. Ebbe una sensazione negativa, si sentì soffocare e per la prima volta provò paura, una paura irrazionale che presto si tramutò in terrore puro. Quando le sagome che intravedeva cominciarono a prendere corpo e i suoni furono distinguibili.

   Molti degli altri astronauti erano passati direttamente dal sonno profondissimo dell'ibernazione alla morte e giacevano nei loro loculi semiaperti da cui emanava un effluvio nauseabondo di carne putrefatta. Ma non tutti. C’era anche chi, risvegliandosi, si rendeva improvvisamente conto di ciò che accadeva e delle sue conseguenze.

   I recettori del suo nervo olfattivo non erano ancora del tutto attivi e neanche i coni e i bastoncelli della retina. La sua coscienza era assopita, avvolta dall'involucro ovattato dei ricordi.  Di lì a breve si sarebbe resa conto del destino che attendeva lei e i suoi compagni di viaggio, superstiti di quel “folle volo” della conoscenza e dell'arroganza umana.

   Mentre i sensi assopiti le si risvegliavano lentamente, Kathe riceveva lievi zaffate maleodoranti di carne putrefatta, fruscii di gemiti di dolore e singhiozzi provocati da conati di vomito, ma era immobilizzata nella sua capsula e non comprendeva a fondo l’orrore che la circondava. Perché per le poche decine di esseri risvegliatisi prima di lei da quel torpore paralizzante, l’unica via di sopravvivenza, l’unica risorsa per placare i morsi della fame era contenuta nei corpi ancora in vita dei compagni. Sarebbe stato così anche per lei.

   La realtà si presentò come un pugno nello stomaco. Nessuna poesia, nessun messaggio di conquista, di speranza o di amore. Ora le sfuggiva il senso profondo di ogni cosa, e soprattutto di quel folle viaggio.

   Quando Kate finalmente spalancò gli occhi sul vuoto, improvvisamente le ombre indistinte che era riuscita a scorgere presero forma: non era un bello spettacolo. C'era un tappeto di cadaveri, alcuni già decomposti e l'odore era nauseante. Ma la cosa peggiore era l’avanzare di quei corpi vivi e pallidi, miracolosamente resuscitati e famelici verso il suo loculo. Capì tutto in solo istante, e qualcosa scattò nella sua mente, un istinto da predatore implacabile, accuratamente nascosto nel suo DNA e perfettamente innestato nei falsi pensieri buoni che l’avevano accompagnata fino a quel momento: così raccolse le forze riposte in tanti anni di sonno forzato e una scossa violenta fece sussultare il suo corpo che si scagliò con indicibile violenza contro i malfermi assalitori.

   Il collegamento con la Terra era attivo, in audio e video, c’era solo un insignificante sfasamento temporale.

   Dal pianeta madre assisterono ad una battaglia tra esseri che non avevano più nulla di umano, che si strapparono a vicenda brandelli di carne viva, in una primordiale e atavica lotta per la sopravvivenza. Le immagini si chiusero, come nei peggiori “splatter” con un primissimo piano sul volto trasfigurato della donna: gli occhi fuori delle orbite, la bocca insanguinata e deformata in un ghigno sinistro.

  Dalla base terra echeggiò un coro di voci soddisfatte e concordi: “Missione compiuta!”

Erano LORO.

 L’ingente investimento economico in corpi da riprogrammare allo scopo di diffondere negli spazi quella  specie degenerata, cominciava a dare i suoi frutti e si avviava alla completa realizzazione. Avrebbero occupato altri pianeti e, forse, la galassia intera.

© Silvana Maroni

 


IL GATTO

 -        Pronto polizia? Mi chiamo Camilla Anselmi, abito in via delle Pagode 33, venite , vi prego, al più presto. Credo sia accaduto qualcosa di molto brutto alla mia vicina, la signorina Carli, Antonia Carli, fate presto per favore.

-        Ci spieghi signora e si calmi, arriviamo ma dobbiamo sapere di cosa si tratta, c'é un referto da compilare.

-        Ecco,  Antonia non mi risponde, la stavo chiamando perché come al solito il suo gatto mi è entrato in casa. E poi ho visto che il gatto ha le zampe insanguinate! Vi prego fate presto!

    Il cadavere di Antonia Carli era riverso sul pavimento del soggiorno, in una pozza di sangue. Era stata accoltellata, l’assassino l’aveva assalita alle spalle recidendole con un colpo solo la giugulare. La poveretta non aveva avuto neanche il tempo di urlare.

   L'ispettore Roversi, giunto sul luogo con i RIS  e numerosi agenti iniziò a guardarsi intorno, ascoltando le testimonianze dei condomini, portiere in testa: Giacomo detto Mino, che era da poco subentrato al padre ammalato, e, nonostante la giovane età, come tutti i portieri che si rispettino conosceva vita morte e miracoli della signorina Antonia, quarantaduenne  piacente ma non simpaticissima. Amica-rivale di Camilla, Antonia aveva anche un fidanzato: lo stesso che Camilla aveva lasciato alcuni mesi prima perché possessivo e violento. Paolo Giugno il suo nome, di bell’aspetto, ricco e senza un alibi per la serata precedente. Anzi, certamente coinvolto perché le telecamere di sorveglianza della filiale della Banca Della Finanza in via delle Pagode, lo avevano perfettamente inquadrato alle 23,00 mentre usciva dallo stabile.

  Il medico legale aveva indicato tra le 22,45 e le 24 l’ora presunta del delitto. Questi erano i fatti e su queste basi Roversi non poté fare a meno di arrestare il Giugno, dopo un breve e concitato interrogatorio in cui l’uomo si proclamò innocente ed affermò di aver lasciato la fidanzata viva e vegeta, anche se avevano avuto un breve alterco: i due avrebbero discusso e anche alzato la voce, ma nulla di più.  

  L’uomo, dal carattere fumantino, aveva sferrato due pugni sul tavolo ed era stato portato via ammanettato, mentre urlava il suo amore per Antonia e la sua innocenza.

  Il caso era semplice, Roversi si rilassò davanti ad un caffè amaro come piaceva a lui, soddisfatto dell’andamento delle indagini.

  Ma nella sua mente ancora vagava qualche ombra.

  In realtà c’erano dei punti da chiarire: l’arma del delitto non era stata ritrovata e bisognava attendere l’esame delle numerose impronte rinvenute sulla scena del crimine, peraltro contaminata dal passaggio ripetuto del gatto Amilcare, inseparabile compagno di Antonia.

  Nonostante l’apparente semplicità del caso e in attesa degli esami del RIS, Roversi, che amava la precisione e non tollerava dubbi o zone d’ombra nelle sue indagini, decise di recarsi di nuovo in   via delle Pagode ad ascoltare in maniera più approfondita gli altri condomini, che a caldo gli avevano tutti confermato la stessa versione: nessun rumore rilevante, urla o similari, solo una discussione a voce sostenuta tra Antonia e il fidanzato, poco prima delle 23.

   Così avevano affermato il ragionier De Bellis, la Signora Massa, l’avvocato Santelli, l’ingegner Ponzi e sua moglie. Soltanto la signora Mercedes Somma, del quarto piano, giurava di aver visto Antonia sul terrazzo innaffiare i fiori dopo le 23,00, ma aveva 88 anni e la sua testimonianza inizialmente non venne ritenuta affidabile. Si ritenne che potesse averla confusa con Camilla, proprietaria del terrazzo adiacente.

   Roversi tornò ad interrogarla.

-          Vede Ispettore, io porto fuori il cane sempre alla stessa ora. Dalla strada il terrazzo di Antonia al primo piano è  perfettamente visibile, e anche quello di Camilla, ma le due donne sono diverse, la povera Antonia era bionda. Bene, erano le 23,15 e Antonia innaffiava i fiori, ne sono certa!

L’anziana donna appariva lucidissima e Roversi ne trovò anche le prove: sul tavolino del salotto della donna erano ben impilati tutti i numeri di una famosa rivista enigmistica, con tutti i quesiti, anche i più difficili, perfettamente risolti.

-          Sa, io vivo sola, i miei soli passatempi sono l’enigmistica e la cucina. Vuole assaggiare i miei dolcetti alla crema? Ho il colesterolo che mi fa penare, non posso eccedere!

   Roversi non si tirò indietro e l’assaggio di quelle delizie, abbinato alle capacità risolutive in campo enigmistico, non fece altro che confermare la sua impressione sull’anziana donna.

  Passò poi da Camilla, che trovò molto più calma della sera precedente. Mino gli aveva riferito che i rapporti tra le due donne non erano proprio idilliaci; a parte le vicende amorose, Camilla mal sopportava la presenza ingombrante di Amilcare, che spesso sconfinava nel suo terrazzo scavando nelle piante e sporcando ovunque.

-          Antonia è stata una pazza a cedere alle lusinghe di quel farabutto, ha fatto come con me, il copione è lo stesso! L’ha irretita con regali, fiori, bigliettini affettuosi…Sa com’è, non siamo più ragazzine e certe cose ci fanno effetto! Sono stata costretta a lasciarlo per le sue continue scenate di gelosia, non ero libera di uscire, di vestirmi come mi pareva…Un incubo!

 Roversi ascoltò pensieroso l’accorata testimonianza di Camilla che smarrì rapidamente la calma iniziale: passava da parole sussurrate ad un tono stridulo, come in preda ad uno stato confusionale, ad una vera e propria crisi isterica.

   Mino aveva raccontato che le scenate di gelosia erano per lo più di Camilla e che la storia fra Paolo ed Antonia era cominciata già prima della fine del fidanzamento con l’altra. L’ispettore si trovò per un attimo spiazzato, la confusione delle testimonianze contrastanti non lo faceva stare tranquillo, per questo decise di passare al contrattacco affrontando di petto Camilla.

-          Signorina Anselmi, mi vuol dire con sincerità quali fossero i suoi rapporti con la Signorina Carli? C’era dell’acredine tra voi?  Era ancora innamorata del Giugno? Quella sera li aveva sentiti? Avevano davvero litigato? Dal suo appartamento le parole si distinguono bene. Si calmi e cerchi di essere sincera, la sua testimonianza può essere fondamentale.

La donna si voltò come una furia e rispose urlando:

-          Senta Ispettore, se  mi vuole accusare di omicidio lo faccia pure, io la odiavo, avrei voluto vederla morta già da tanto tempo, ha distrutto la mia vita, mi ha rubato l’amore, la odiavo e la odio ancora, pure da morta! Vuol sapere se li ho sentiti? Ma certo, hanno litigato, ma poi si sono rappacificati, poco dopo ho  sentito ben altro: gemiti, sospiri. Non c’è alcun dubbio su cosa facessero, e io come una cretina, sto ancora a rimpiangere l’amore di quel farabutto e l’amicizia di quella p…

   La donna si fermò di botto, e non a causa delle lacrime che le rigavano copiose le guance, ma perché vide entrare in casa, come accadeva spesso, il gatto Amilcare, in giro per le sue solite scorribande. Senza pensarci un solo attimo, gli lanciò una statuina di bronzo che, non cogliendolo, fracassò un quadro mandando in frantumi il vetro. Odiava quell’animale, era invadente, se lo trovava tra i piedi in qualunque momento.

  Roversi cercò di calmare la donna, le asciugò le lacrime ma non poté fare a meno, prima di accomiatarsi, di rivolgerle un’ultima domanda.

-          Mi scusi, ma non posso fare a meno di chiederglielo, la rappacificazione, quella di cui lei parlava, mi saprebbe dire a che ora approssimativamente sarebbe avvenuta? I gemiti e i sospiri per intenderci…

-          In quel momento a tutto pensavo tranne che a guardare l’orologio ma erano appena terminate le previsioni del tempo sul terzo canale, le ascolto sempre e tenevo la TV accesa. Erano le 23,30, ne sono certa!

   Roversi, che fino a qualche ora prima credeva di aver risolto il caso, tornò in ufficio abbastanza confuso e qui diede lettura al referto dei RIS dal quale apprese le caratteristiche dell’arma del delitto, un coltello da cucina, probabilmente quello mancante nella casa della vittima, in tal caso  facilmente riconoscibile dal manico color glicine, come gli altri ancora infilati in bella mostra in un ceppo colorato accanto al piano cottura.

   Il referto aggiungeva un altro particolare, che Roversi però già conosceva: Antonia quella sera aveva avuto un rapporto sessuale, consenziente. Mancava però qualsiasi traccia di liquido seminale, quindi niente esame del DNA. Le numerose impronte erano di Antonia,  Paolo,  Camilla, ma molte altre erano sconosciute e difficilmente identificabili.

   L’Ispettore era punto e a capo, confermata la testimonianza della signora Somma, avrebbe dovuto scarcerare subito il Giugno, senza temporeggiare. Ricomponendo il puzzle era evidente che Antonia aveva un amante e lo aveva ricevuto in casa. Era costui l’assassino, e probabilmente abitava nello stesso stabile, perché nessuno era stato inquadrato dalle telecamere della banca mentre ne usciva, quella notte. Il piccolo condominio non aveva seconde uscite.

  Roversi intanto formulava ipotesi, chi poteva essere stato? Il timido ragioniere? L’avvocato rampante e facoltoso? L’ingegnere sembrava troppo anziano, ma aveva una moglie insopportabile…Mino?

   Giunto al 33 di via delle Pagode, Roversi era deciso ad uscire con una piena confessione, chiunque fosse stato il colpevole non avrebbe avuto riguardi.

   Fu più facile del previsto: voleva cominciare da Mino ma l’uomo non era al suo posto e dalla guardiola  provenivano strani rumori. Dovette forzare la serratura che l’uomo teneva sempre chiusa: una raccomandazione di suo padre! Qui trovò Amilcare che con le zampette aveva sollevato due mattonelle del pavimento ed ora era lì a leccare concitatamente un coltello venuto fuori da quel nascondiglio: aveva il manico color glicine.

  Mino non ci provò neanche a smentire: era innamorato della donna, che non aveva alcuna intenzione di lasciare il ricco fidanzato per lui. Era stato un raptus.

Roversi era finalmente soddisfatto, il caso stavolta era davvero risolto! Mentre sbrigava le ultime formalità ebbe l’impressione che il gatto Amilcare lo guardasse con una certa soddisfazione, mentre continuava a leccarsi il pelo sdraiato sul pavimento dell’androne.

 © Silvana Maroni