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mercoledì 4 dicembre 2024

IL PRIMO NATALE

 “È una festa ipocrita”

“Il Natale?”

“Certo, tutto questo volemosebeneatuttiicosti non ha senso se per il resto dell'anno...”

“Dai, non cominciare con questa solfa, lo sai che serve, è utile…”

“Serve?”

“Ma sì, per i bambini soprattutto, loro sentono l'affetto, il calore, l’aggregazione. La religione c'entra poco.”

“Su questo sarei d'accordo, ma solo sull'ultimo punto. Chiama i bambini, dai usciamo, c'è la festa del Presepe vivente in Chiesa. Andiamo, ma solo per loro, sia chiaro.”

...

  Era la sua missione più importante, sarebbe diventato un vero eroe, venerato da tutti. Ricordò gli immensi sacrifici che l'avevano portato fin là, a sbarcare da un aereo in quella terra nemica, straniera, che gli avevano insegnato ad odiare più d'ogni altra cosa al mondo, travestito lui stesso da straniero.

 Il mondo gli scivolava intorno in mille fotogrammi sconnessi, mescolati ai ricordi di un'infanzia negata. Era un film privo di nessi logici, fatto di immagini slegate, contraddittorie, quasi sempre violente, mostruose. Un orrore necessario, lodevole, che avrebbe conseguito il giusto premio.

  Come per suo padre, che ora abitava lassù, nel Paradiso degli eletti. Anche lui era sulla strada della gloria eterna. Aveva ucciso il primo uomo a soli otto anni: un nemico, un cane infedele che non meritava di vivere. Ne ricordava il rantolo, il fiume di sangue che gli usciva dalle vene, gli occhi vitrei. Alla morte ci si abitua, alla fine non fa più effetto.

  Era stato un “Cucciolo del Califfato”, solerte, sempre ligio ai doveri, alla filosofia improntata all’odio e alla morte che gli era stata inculcata, e ora si trovava proprio nel cuore di quel mondo straniero, luccicante e colorato, falso e ingannatore come il peccato. Un mondo da distruggere, sgretolare, ridurre in polvere.

Era lì per questo, continuava a ripeterselo.

  Ma quando entrò nell'immenso edificio sormontato da una cupola preziosa, dipinta e intarsiata di meraviglie, fu investito da una marea di emozioni contrastanti, contraddittorie, confuse.

L'odio che gli avevano instillato negli anni, goccia a goccia, stentava a venire fuori, mentre si faceva largo lo stupore, un’onda di palpiti irrefrenabili  provocatagli da tutta quella bellezza. I colori sfumati, i suoni, gli effetti di luce attraverso le altissime vetrate ricamavano nell’aria una sensazione paradisiaca, tutt'altro dal grigio piombo delle armi e dei carri armati a cui era ormai assuefatto, come se non esistesse altro al mondo oltre al non-colore degli strumenti di morte.

  Quella gioia che lo circondava gli era sconosciuta, così come l'entusiasmo, la dolcezza, la magia di una festa misteriosa. Se fosse pure stata eretica e blasfema poco importava. Le risate e i sorrisi risuonavano nello spazio smisurato dell'antico luogo di culto. Gli si stava schiudendo un universo fatto di gente dal sorriso aperto, di volti scoperti e solari di donne giovani e anziane, belle nella gentilezza e nell'imperfezione.

Belle come la pace, come la vita.

Belle come ricordava bello il volto di sua madre, le rare volte che lo aveva visto per intero, confuso in una pioggia di lacrime e ricordi sfocati.

“I maschi non piangono mai.” Si disse quando la vide morire.

Non pianse mai più, ma ora il groppo che sentiva nella gola presagiva un diluvio.

Fu allora che gli passò davanti, lucido, tutto quel passato che risuonava di orrore e disperazione:  i compagni saltati in aria, spietate bombe umane seminatrici di morte, le esecuzioni, le teste insanguinate degli infedeli che rotolavano come palloni da calciare via, il fragore dei proiettili, lo sguardo doloroso delle donne della sua famiglia, inguainate in prigioni nere di stoffa. Tutte con gli stessi occhi tristi, rassegnati, spenti.

   Lo avevano istruito per bene, un lavaggio del cervello iniziato da piccolo con armi vere al posto dei giocattoli. La mira perfetta, esercitata per anni, il senso del pericolo costantemente presente. Era così da un'eternità: sottratto alla famiglia a soli cinque anni, da quando il padre era saltato in aria portando cento anime con sé ed era stato assunto alla gloria degli eroi di cartapesta.

Mai frequentato una scuola vera, amorevole, inclusiva. Solo letture di testi sacri, debitamente epurati di ogni messaggio di pace e amore. Anche l'aritmetica era tutta un sommare e moltiplicare di armi e pallottole. Calcoli per stabilire quanti nemici si potevano uccidere.

E poi botte, torture per chi provava pietà ed esitava a sparare, anche se  per un attimo.  Come quando aveva visto degli occhi che imploravano pietà e si era intenerito.

 No. Non ce n'era per nessuno, nè pietà nè misericordia.

 Ancora portava addosso i segni indelebili delle punizioni per quei tentennamenti.

Educato all'odio per l'occidente blasfemo e corrotto, a soli quindici anni era pronto a tutto. Cotto a puntino, i pensieri di morte avevano travalicato e seppellito tutti i sogni di adolescente, anzi, quelli neanche avevano avuto modo di nascere.

Ma adesso...i cori, le luci, il vociare sommesso e allegro. L'aria di festa si toccava, si respirava, scivolava fra le dita prendendo corpo in quel luogo incantato.

  Era entrato nell'antico edificio travestito da Babbo Natale, pronto a lanciare l'urlo fatidico, proprio nell'istante in cui si alzava il coro degli angioletti. Aveva provato tante volte, si era esercitato ed era tale lo stato di esaltazione che fino ad un attimo prima gli sembrava di non veder l'ora gridare al cielo quell'invocazione di morte.

La grossa pancia rossa era imbottita di tritolo. Ma non aveva fatto i conti con quella mescolanza di emozioni, quel senso di bontà e di comunione che si respirava, con la gioia e lo stupore dei bambini e degli anziani che subito lo circondarono, con l'aria lieve e colorata di quel giorno di festa.

  Non resse a quel muto bombardamento di emozioni, scappò via lontano : si trasformò in una scheggia impazzita scomparendo tra la folla delle strade vestite a festa, in un baleno. In uno spiazzo isolato gettò via il pancione rosso ripieno di morte, che esplose confondendosi col rumore coloratissimo dei fuochi d'artificio: non avrebbe fatto del male a nessuno, non più.

Scappò via pur sapendo che  i “suoi” lo avrebbero cercato e punito. Nel peggiore dei modi. Ma sapeva correre e nascondersi. Gliel'avevano insegnato proprio loro. Trovò un coraggio nuovo per liberarsi da antiche catene.  

Esisteva un altro mondo, lo aveva appena scoperto.

La gente in Chiesa non capì nulla. “Il solito pazzo”, era l'ipotesi più accreditata che circolava.

“Stavolta almeno c’è un imprevisto!” Disse qualcuno.

“Siamo alle solite, queste feste inutili e chiassose attirano solo ladri e mendicanti!”

“Sarà stato un clandestino, ha visto troppa gente ed è fuggito”

Invece stavolta il Natale era davvero “servito”, andando ben oltre l'ipocrisia e il romanticismo di facciata. Oltre la religione.

Quel ragazzino pazzo per la prima volta si era sentito libero, e gli era bastato un attimo per decidere che era disposto a tutto pur di restarvi.

Fu il primo Natale della sua vera vita.

© Silvana Maroni



PASQUALE ESPOSITO, BARMAN

   Eccomi qua, in un treno diretto a Sud. Destinato ad un percorso inverso rispetto ai miei genitori che trent’anni fa migrarono al Nord, dove sono nato io, 19 anni fa. In provincia di Trento, fra le montagne più belle del mondo.

  Ora sono diretto al mare più bello del mondo, ma ancora non sono convinto. Napoli è una città caotica, sporca,  la gente urla sempre, sono preoccupato. In questi giorni ci sono anche tante scosse di terremoto, non mi sento sicuro, è una terra instabile, capricciosa.

   A dire il vero tifo Napoli come il mio papà, quindi un legame con la città ce l’ho. Lui mi parla sempre di Maradona. Ora è diventato una specie di dio, ma forse lo è sempre stato, a vederlo giocare.

L’anno scorso per lo scudetto hanno festeggiato per sei mesi, certo, sarà stato bello.

   Zio Tonino mi ha rassicurato, Napoli è migliorata, è piena di turisti, molto più pulita, dice che mi troverò bene. Speriamo.

Devo fare la gavetta, così mi dicono tutti. Quando sarò diventato davvero bravo, allora potrò anche andare a Las Vegas dove i barman guadagnano anche mille euro a serata. Mille euro!

  E’ stato buono zio Tonino, mi ha aiutato; con questo diploma dell’istituto alberghiero cos’altro avrei potuto fare? E’ vero che sono bravo, ho avuto sempre buoni voti, ma non ho mai lavorato. Una cosa è preparare cocktails a scuola per finta, una cosa è aver a che fare con le persone.

Solo che, ora sono proprio le persone che mi preoccupano. Qua parlano sempre, vogliono chiacchierare di continuo.

 E poi c’è un’altra cosa: il caffè.

Il fatto è che a Napoli il caffè è una specie di dio, come Maradona. C’è un rituale preciso per prepararlo, a casa e al bar, e ne prendono di continuo. Chissà quanti ne dovrò fare! Certo, imparerò!

Prendono il caffè per parlare, per litigare, per fare pace, per passare il tempo. Sarà per questo che urlano tanto e gesticolano, la caffeina li rende nervosi.

Devo imparare bene tutti i passaggi per prepararlo e servirlo. Devo ricordarmi sempre di tutto, stare attento.

Il bicchiere d’acqua insieme al caffè, innanzitutto, che è pure gratuita, sempre. Dice zio Tonino che l’acqua è come l’aria e non si può far pagare per respirare. Certo, è giusto.

E poi quella storia della coda di zoccola, mannaggia a me e a lui! Lui dice che il caffè deve uscire dalla macchinetta del bar prima a gocce e poi in un filo sottile, proprio come la coda di un topo, la zoccola appunto. E per non più di trenta secondi.

Sono agitato, a scuola queste cose non ce le dicevano.

E ci sta pure un’altra  storia, quella del “sospeso”. Si deve sempre annotare, se qualcuno offre un caffè a chi non ha i soldi e viene dopo. Questa però è una bella cosa, è come dimostrare amicizia per tutti, anche per gli sconosciuti. Ma pure bisogna ricordarsela!

Sono arrivato!

NAPOLI - PIAZZA GARIBALDI

Eccomi qua, comincia l’avventura. Vedo zio Tonino che mi aspetta, meno male! Ci sta pure zia Concettina, sono affettuosi, e mio cugino Salvatore che pure lavora nel bar. Tutta la famiglia!

   -“Ciao, bello guagliò, comme staj? Vedrai che ti troverai bene qua. Hai fatto buon viaggio? Hai mangiato?”

      -“Ciao zio, ciao zia, sì è tutto a posto!”

     -“Jamm bellu guagliò, (Andiamo bel ragazzo) ti ambienterai presto, non ti preoccupare, hai sangue partenopeo nelle vene! Ma prima di tutto andiamoci a prendere un bel caffè, al bar della stazione, poi ti spiego tutto.

Sediamoci al tavolino, sarai stanco, e poi il caffè si prende con calma, senza fretta.”

Stiamo attenti a seguire le regole, sempre.”

     -“Le regole si, zio, le ripasserò”

     -“Il bicchier d’acqua, da bere prima del caffè, mai dopo, per pulirsi la bocca e assaporare meglio il gusto.

Poi assicurarsi che il caffè abbia le tre C,  le conosci Pasqualì?”

      -“No zio,”

      -“Ci sono due scuole di pensiero: quella più seria che ti dice : Caldo, comodo e carico, perchè il caffè vero deve essere ristretto, solo se te lo chiedono lo fai lungo!

E l’altra è in dialetto e dice: Comme cazz coce (come cavolo scotta!) perchè il caffè deve essere bollente!

Ah, dimenticavo, per il barista la regola più importante è: deve scendere a coda di zoccola! “

      -“Sì questa la sapevo”

      -“Siamo pronti?”

      -“Sì zio, ( più o meno)”

Pasqualino tra sè:

-“Mamma mia, non è che il caffè mi farà agitare ancora di più?

Però, che profumo, e devo dire che è davvero buono!”

© Silvana Maroni