“È una festa ipocrita”
“Il Natale?”
“Certo, tutto questo volemosebeneatuttiicosti
non ha senso se per il resto dell'anno...”
“Dai, non cominciare con questa
solfa, lo sai che serve, è utile…”
“Serve?”
“Ma sì, per i bambini
soprattutto, loro sentono l'affetto, il calore, l’aggregazione. La religione
c'entra poco.”
“Su questo sarei d'accordo, ma
solo sull'ultimo punto. Chiama i bambini, dai usciamo, c'è la festa del Presepe
vivente in Chiesa. Andiamo, ma solo per loro, sia chiaro.”
...
Era la
sua missione più importante, sarebbe diventato un vero eroe, venerato da tutti.
Ricordò gli immensi sacrifici che l'avevano portato fin là, a sbarcare da un
aereo in quella terra nemica, straniera, che gli avevano insegnato ad odiare più
d'ogni altra cosa al mondo, travestito lui stesso da straniero.
Il mondo gli scivolava intorno in mille
fotogrammi sconnessi, mescolati ai ricordi di un'infanzia negata. Era un film
privo di nessi logici, fatto di immagini slegate, contraddittorie, quasi sempre
violente, mostruose. Un orrore necessario, lodevole, che avrebbe conseguito il
giusto premio.
Come per suo padre, che ora abitava lassù, nel Paradiso degli eletti.
Anche lui era sulla strada della gloria eterna. Aveva ucciso il primo uomo a
soli otto anni: un nemico, un cane infedele che non meritava di vivere. Ne
ricordava il rantolo, il fiume di sangue che gli usciva dalle vene, gli occhi
vitrei. Alla morte ci si abitua, alla fine non fa più effetto.
Era stato un “Cucciolo del Califfato”, solerte, sempre ligio ai
doveri, alla filosofia improntata all’odio e alla morte che gli era stata
inculcata, e ora si trovava proprio nel cuore di quel mondo straniero,
luccicante e colorato, falso e ingannatore come il peccato. Un mondo da
distruggere, sgretolare, ridurre in polvere.
Era lì per questo, continuava a
ripeterselo.
Ma quando entrò nell'immenso edificio sormontato da una cupola preziosa,
dipinta e intarsiata di meraviglie, fu investito da una marea di emozioni
contrastanti, contraddittorie, confuse.
L'odio che gli avevano
instillato negli anni, goccia a goccia, stentava a venire fuori, mentre si
faceva largo lo stupore, un’onda di palpiti irrefrenabili provocatagli da tutta quella bellezza. I
colori sfumati, i suoni, gli effetti di luce attraverso le altissime vetrate ricamavano
nell’aria una sensazione paradisiaca, tutt'altro dal grigio piombo delle armi e
dei carri armati a cui era ormai assuefatto, come se non esistesse altro al
mondo oltre al non-colore degli strumenti di morte.
Quella
gioia che lo circondava gli era sconosciuta, così come l'entusiasmo, la
dolcezza, la magia di una festa misteriosa. Se fosse pure stata eretica e
blasfema poco importava. Le risate e i sorrisi risuonavano nello spazio
smisurato dell'antico luogo di culto. Gli si stava schiudendo un universo fatto
di gente dal sorriso aperto, di volti scoperti e solari di donne giovani e
anziane, belle nella gentilezza e nell'imperfezione.
Belle come la pace, come la
vita.
Belle come ricordava bello il
volto di sua madre, le rare volte che lo aveva visto per intero, confuso in una
pioggia di lacrime e ricordi sfocati.
“I maschi non piangono mai.” Si disse quando la vide morire.
Non pianse mai più, ma ora il
groppo che sentiva nella gola presagiva un diluvio.
Fu allora che gli passò davanti,
lucido, tutto quel passato che risuonava di orrore e disperazione: i compagni saltati in aria, spietate bombe
umane seminatrici di morte, le esecuzioni, le teste insanguinate degli infedeli
che rotolavano come palloni da calciare via, il fragore dei proiettili, lo
sguardo doloroso delle donne della sua famiglia, inguainate in prigioni nere di
stoffa. Tutte con gli stessi occhi tristi, rassegnati, spenti.
Lo avevano istruito per bene, un lavaggio
del cervello iniziato da piccolo con armi vere al posto dei giocattoli. La mira
perfetta, esercitata per anni, il senso del pericolo costantemente presente.
Era così da un'eternità: sottratto alla famiglia a soli cinque anni, da quando
il padre era saltato in aria portando cento anime con sé ed era stato assunto alla
gloria degli eroi di cartapesta.
Mai frequentato una scuola vera,
amorevole, inclusiva. Solo letture di testi sacri, debitamente epurati di ogni
messaggio di pace e amore. Anche l'aritmetica era tutta un sommare e
moltiplicare di armi e pallottole. Calcoli per stabilire quanti nemici si
potevano uccidere.
E poi botte, torture per chi
provava pietà ed esitava a sparare, anche se per un attimo. Come quando aveva visto degli occhi che
imploravano pietà e si era intenerito.
No. Non ce n'era per nessuno, nè pietà nè
misericordia.
Ancora portava addosso i segni indelebili
delle punizioni per quei tentennamenti.
Educato all'odio per l'occidente
blasfemo e corrotto, a soli quindici anni era pronto a tutto. Cotto a puntino,
i pensieri di morte avevano travalicato e seppellito tutti i sogni di
adolescente, anzi, quelli neanche avevano avuto modo di nascere.
Ma adesso...i cori, le luci, il
vociare sommesso e allegro. L'aria di festa si toccava, si respirava, scivolava
fra le dita prendendo corpo in quel luogo incantato.
Era entrato nell'antico edificio travestito da Babbo Natale, pronto a
lanciare l'urlo fatidico, proprio nell'istante in cui si alzava il coro degli
angioletti. Aveva provato tante volte, si era esercitato ed era tale lo stato
di esaltazione che fino ad un attimo prima gli sembrava di non veder l'ora
gridare al cielo quell'invocazione di morte.
La grossa pancia rossa era
imbottita di tritolo. Ma non aveva fatto i conti con quella mescolanza di
emozioni, quel senso di bontà e di comunione che si respirava, con la gioia e
lo stupore dei bambini e degli anziani che subito lo circondarono, con l'aria
lieve e colorata di quel giorno di festa.
Non resse a quel muto bombardamento di emozioni, scappò via lontano : si
trasformò in una scheggia impazzita scomparendo tra la folla delle strade
vestite a festa, in un baleno. In uno spiazzo isolato gettò via il pancione
rosso ripieno di morte, che esplose confondendosi col rumore coloratissimo dei
fuochi d'artificio: non avrebbe fatto del male a nessuno, non più.
Scappò via pur sapendo che i “suoi” lo avrebbero cercato e punito.
Nel peggiore dei modi. Ma sapeva correre e nascondersi. Gliel'avevano insegnato
proprio loro. Trovò un coraggio nuovo per liberarsi da antiche catene.
Esisteva un altro mondo, lo
aveva appena scoperto.
La gente in Chiesa non capì
nulla. “Il solito pazzo”, era l'ipotesi più accreditata che circolava.
“Stavolta
almeno c’è un imprevisto!” Disse
qualcuno.
“Siamo
alle solite, queste feste inutili e chiassose attirano solo ladri e
mendicanti!”
“Sarà
stato un clandestino, ha visto troppa gente ed è fuggito”
Invece stavolta il Natale era
davvero “servito”, andando ben oltre l'ipocrisia e il romanticismo di facciata.
Oltre la religione.
Quel ragazzino pazzo per la
prima volta si era sentito libero, e gli era bastato un attimo per decidere che
era disposto a tutto pur di restarvi.
Fu il primo Natale della sua
vera vita.
© Silvana Maroni
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