Ho ricordi lontanissimi delle mie tante vite: guardavo il cielo fiera e m’inebriavo d’azzurro, formavo pareti scoscese, dure, ripidissime. Il sole mi accecava. Poi accadde qualcosa: acqua, e ancora acqua, brutale, violenta, vorticosa. Acqua che cade dal grigio, che scorre velocissima, acqua che leviga e appiana. Fui sgretolata in miliardi di pezzi, prima grossi, poi sempre più piccoli, infine piccolissimi. Sprofondai e fui seppellita da me stessa, dalle mie stesse briciole scivolate via. Ho memoria di quel peso, del buio e del lunghissimo sonno che ne seguì. Andai giù, sempre più giù sotto una massa di ciottoli, di sabbie sempre più pesanti, giù in fondo dove cresceva il calore: opprimente, insopportabile. Il tempo scorreva e io mi compattavo, grazie alle spinte, al peso e al caldo di quella immensa fornace. Tanto, tantissimo tempo mi scivolò addosso deformandomi, stratificandomi, rendendomi sempre più sottile.
Le mie briciole scure si erano addensate,
stirate, avevano formato lastre lisce e allungate, nerissime, a tratti
bluastre.
Qualcuno iniziò a
tirarmi fuori dal baratro, c’era un rumore assordante intorno a me. Poi tutto
cambiò.
Ora sento un vociare amico, una polvere bianca
evoca formule e sistemi di misura, canta, stridendo talvolta sulla mia
superficie. In sottofondo una musica di voci innocenti, un concerto che mi
riporta ad un’armonia mai conosciuta. Piccole mani tracciano segni che si
tramutano in conoscenza. Sono fiera di me stessa, di questa nuova vita.
© Silvana Maroni
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